MEDITAZIONE YOGA E STRESS 1

Parte 1

I nostri schemi mentali, talvolta, portano a considerarci relativamente responsabili della qualità della nostra vita, ma, se gradualmente impareremo a smontarli ed esaminarli, alla luce della cura e dell’amore di sé, potremmo renderci conto di quanto strenuamente abbiamo lavorato, per creare esattamente quelle condizioni di vita che ci sembrano insostenibili.
Accade infatti che, a causa della nostra inconsapevolezza, possiamo compiere azioni di profondo egocentrismo, asservendoci a idee sbagliate su ciò che riteniamo inevitabile e necessario.
Con il tempo le azioni intenzionali, coltivate e ripetute, creano il fondamento della abitudine che va a incidere nella nostra personalità, creando le strutture di sostegno per il condizionamento della coscienza.

Imparando a meditare, implicitamente rifletteremo su tutto ciò e coltiveremo nella nostra mente uno spazio di coscienza, che ci aiuterà a vedere quello che di noi non sapevamo, a guardare in faccia noi stessi, a coltivare la facoltà dell’intuizione.
Molti anni fa gli psicologi avvertirono che con l’era della tecnologia, un’altra era sarebbe iniziata: l’era dell’infelicità mentale.
Una situazione simile prevalse in India durante le sue epoche d’oro. La prosperità materiale aveva portato con sé le tensioni mentali. Il saggio Kapila allora formulò il sistema di yoga Samkhya per portare felicità alle persone nevrotiche e confuse. Patanjali successivamente, modificò la filosofia di Kapila e negli ‘Yoga Sutra’ definì il percorso in otto passi dello yoga, rendendolo applicabile a tutti i tipi di personalità e di comportamento.
Sebbene i tempi attuali siano abbastanza diversi, non c’è stato un grande cambiamento nel modo di pensare dell’uomo, assalito dalla stessa sensazione d’impotenza nell’affrontare il mondo.
La meditazione, ci aiuta a vedere i nostri problemi in una giusta prospettiva. Attraverso la pratica meditativa siamo capaci di comprendere che il nostro disappunto, la nostra infelicità e gli altri problemi sono interni, auto-generati.

Una corretta meditazione non ha un fine, brilla di luce propria. E’ questo il segreto per meditare bene: non occuparsi degli effetti, dei vantaggi futuri, ma lasciare che mezz’ora di serenità entrino nella nostra coscienza, come un patrimonio che nessuno potrà sottrarre.
Ovviamente per ottenere questo risultato, non dobbiamo confondere la meditazione con stati diversi di coscienza, quali per esempio sognare ad occhi aperti o fare un rilassamento passivo o dormire durante l’esercizio. Nello stesso tempo però non ci dobbiamo preoccupare se la mente non vuole stare ferma, né aggredire i pensieri con il peso della nostra avversione e auto giudizio.
Dobbiamo perseguire la calma della mente con determinazione rilassata, senza preoccuparci se troviamo difficoltà nell’esecuzione degli esercizi, né esaltarci per aver avuto un buon risultato.
Il processo di cambiamento passa attraverso l’attenzione. Cioè l’osservazione pura e semplice di ciò che accade dentro e fuori di noi, pensieri compresi, senza dare giudizi di valore, senza entrare nel merito. I pensieri vanno osservati, senza coltivarli, senza scacciarli, senza trattenerli, momento per momento.
Gli effetti della meditazione sul cervello: gli studi e le osservazioni scientifiche
L’interesse della scienza verso le pratiche meditative è documentato innanzitutto dal fatto che le più significative tecniche di rilassamento occidentali vengono elaborate, nei primi decenni del secolo scorso, tenendo presente anche l’esperienza dell’oriente.
In particolare lo psichiatra tedesco J.H. Schultz, combinando la riflessione sull’ipnosi e quella sul Raja Yoga (disciplina meditativa di controllo del corpo e della mente) elabora il più famoso metodo di rilassamento occidentale: il training autogeno.
Ma la prima osservazione scientifica sugli effetti della meditazione sull’organismo umano è di Therese Brosse, cardiologa francese, che dall’India nel 1935, descrive così lo stato di uno yogi in meditazione: ‘sembrava che il suo cuore si fosse fermato’.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso, si inizia a utilizzare strumenti moderni di indagine scientifica, come l’elettrocardiogramma (ECG), e l’elettroencefalogramma (EEG), per decifrare i cambiamenti fisici, che si realizzano durante l’esecuzione di esercizi di meditazione. Le conclusioni di queste prime indagini scientifiche sono le seguenti:
- a livello cardio-respiratorio vi è una forte riduzione del ritmo del respiro e di quello cardiaco
- a livello cerebrale, si registra uno stato di rilassamento diverso dal sonno.
Nella seconda metà degli anni sessanta, Tomo Hirai, psichiatra giapponese, dà via al programma di studio sistematico su, potremmo dire, meditanti professionisti: monaci zen.

Hirai, usando l’EEG e l’ECG, documenta i seguenti cambiamenti fisiologici:
- aumento dell’ampiezza e della regolarità delle onde alfa. Queste onde cerebrali compaiono normalmente quando si chiudono gli occhi. Hirai documenta che nei monaci in meditazione queste onde compaiono, a livello delle cortecce frontali, anche a occhi semiaperti.
- diminuzione significativa del consumo di ossigeno, della frequenza respiratoria e di quella cardiaca.
Dati che vengono confermati nel 1970, da un giovane fisiologo americano, Keit Fallace, che studia gli effetti della meditazione trascendentale, tecnica elaborata per l’occidente dal maestro indiano Maharishi Mahesh nei primi anni sessanta. Anche Fallace trova una riduzione del consumo di ossigeno e anidride carbonica, della frequenza cardiaca e un tracciato dell’attività elettrica del cervello caratterizzato da un aumento della frequenza e dell’ampiezza delle onde alfa.

Negli anni ottanta e novanta, gli studi diventano più sistematici e articolati. Per esempio, si studiano meditanti, a vari livelli di preparazione e con diversi anni di esperienza, mentre ai tradizionali strumenti di registrazione dell’attività elettrica del cuore e del cervello, si associano analisi del sangue per indagare sui livelli dei più importanti ormoni e neurotrasmettitori.
Riassumendo questi lavori, si può dire che abbiamo:
- regolazione della produzione di cortisolo, fondamentale ormone dello stress
- aumento notturno della melatonina, ormone del sonno con funzioni chiave nella sincronizzazione dei ritmi biologici dell’organismo
- riduzione della noradrenalina, neurotrasmettitore prodotto sia dalle surrenali che dal cervello sotto stress
- aumento della serotonina, neurotrasmettitore di grande rilievo per l’umore (antidepressivo) ma anche per la regolazione della fame e della sazietà e non solo…
- aumento del Dhea, ormone prodotto sia dalle surrenali sia dal cervello, con ruoli molteplici sull’umore, sul sistema immunitario. Interessante notare che l’aumento di questo ormone, negli studi realizzati, si è verificato soprattutto in chi ne aveva bisogno: uomini e donne sopra i 40 anni
- aumento del testosterone, ormone maschile per eccellenza, ma che può svolgere un ruolo importante anche nelle donne perché, soprattutto in menopausa, costituisce una riserva per la produzione di ormoni femminili (estrogeni) tramite un meccanismo di conversione enzimatica dall’ormone maschile a quello femminile che si chiama aromatizzazione.
FINE PRIMA PARTE – LA SECONDA SARA’ PUBBLICATA MERCOLEDI 11 MAGGIO
Grazia Ugazzi
Bibliografia:
- Il fenomeno stress – F.Vester – ed.Giunti martello
- A systematic corse in yoga…- Satyananda Paramahansa – ed. Bihar School of yoga
- Yoga e Stress- Sw.Suryamani Saraswati – ed.Satyananda
- Meditazione psiche e cervello – f.Bottaccioli – ed.tecniche nuove
- Vivere con lo stress- Jacqueline Renaud – ed.Armenia
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