L’importanza delle “Mudrā“
di Grazia Ugazzi (Insegnante di Yoga e Meditazione)
La parola sanscrita “mudrā” ha molti significati: gesto delle mani, sigillo, simbolo ma può indicare anche posizioni degli occhi, del corpo e uso particolare del respiro.
Il nome è spesso tradotto in italiano al maschile, il mudrā, ma in realtà in sanscrito è femminile. Per questo motivo in questo articolo ci riferiremo alle mudrā al femminile.
Le mudrā rimandano simbolicamente ad alcuni stati o processi della coscienza e, di conseguenza, la pratica delle mudrā, può condurci agli stati di consapevolezza che essi rappresentano.
In effetti, anche l’origine delle mudrā è alquanto misteriosa, dato che non sono conosciuti solo in Asia ma in tutto il mondo. In India però, appartengono a tutte le tradizioni religiose, e le divinità indiane vengono sempre raffigurate con le mani in una mudrā specifica.
Lo yoga crede che la mente sia influenzata dal comportamento del respiro e del corpo, le mani presumibilmente hanno il rapporto più forte con la mente perché si dice, che le mani siano strettamente connesse al cervello, soprattutto attraverso l’attivazione neurale.
Secondo la filosofia yoga, diverse aree della mano stimolano specifiche zone del cervello.
Applicando una leggera pressione su queste aree della mano, “attiveremo” la regione corrispondente del cervello, in modo simile alla riflessologia.
Le mudrā simboleggiano anche vari sentimenti, emozioni e rappresentano vari stati dell’essere. Pertanto, il modo in cui teniamo le mani in meditazione, può influire sul modo in cui reagirà la nostra mente, rendendo le mudrā uno strumento particolarmente potente per la meditazione.
Un’analogia può aiutarci a capire meglio il potenziale effetto che lo yoga mudrā può avere sul corpo umano. Immaginiamo il corpo come un circuito elettrico in cui scorre la nostra energia (prana). Il prana non è un’energia fìsica, ed è piuttosto diversa dalla corrente elettrica che circola nel sistema nervoso.
Questa forma di energia vitale è molto, molto più sottile. Il prana fluisce all’interno del pranayama kosha o corpo energetico vitale, attraverso canali sottili, noti con il nome di nadi. In Sanscrito, la parola nadi indica l’alveo del fiume dove scorre l’acqua o iI canale attraverso il quale scorre un fiume. I testi yoga sostengono che il sistema di cablaggio sottile nel nostro pranayama kosha ha ben 72.000 nadi.
Attraverso queste nadi, il prana raggiunge tutte le parti del nostro corpo: questa è la forza che garantisce al nostro corpo di rimanere in equilibrio e in salute.
Probabilmente, è più semplice per noi afferrare il concetto di nadi e di prana se immaginiamo le nadi come le corsie di un’autostrada, che consentono al traffico di scorrere.
Quando il prana fluisce liberamente, il corpo si trova in uno stato di salute vibrante. Però, a volte, le nadi si bloccano e il corso del prana viene interrotto. Un’intera regione del nostro corpo può venire isolata a causa di un blocco. Di conseguenza, quella parte del corpo si indebolisce e può ammalarsi, o addirittura atrofizzarsi o paralizzarsi. Per riportare il nostro corpo di nuovo in perfetta salute, è fondamentale sciogliere questi blocchi e stimolare il prana a fluire liberamente attraverso le nadi, convogliando così energia naturale di guarigione in ogni area del corpo.. Unendo le dita in un particolare gesto della mano, cioè uno yoga mudrā, si stimola l’alimentazione del circuito: il cervello. Il cervello riceve quindi un segnale per modificare il modello energetico all’interno del corpo. Questo viene fatto regolando il flusso di energia o Prana .
Inoltre la ricerca ha pubblicato uno studio sulle mudrā sull’International Journal of Yoga. In questo studio hanno utilizzato uno strumento di imaging elettrofotonico (EPI) per catturare le scariche a indotte da un segnale elettrico pulsato, per studiare l’effetto immediato delle mudrā subito dopo un giorno di applicazione. I soggetti dello studio sono stati divisi in un gruppo mudra e un gruppo di controllo . Nella prima parte dello studio, il gruppo mudrā ha praticato il prana mudrā in posizione seduta per cinque minuti. Il gruppo di controllo ha seguito la stessa procedura ma non ha praticato la mudrā. Invece, rimasero seduti in silenzio con gli occhi chiusi per cinque minuti in una posizione seduta simile. Nella seconda parte dello studio, sono state esaminate le durate variabili della pratica yoga mudrā : 10 minuti il primo giorno, 15 minuti il secondo giorno e 20 minuti il terzo giorno.
Applicare un mudra e sedersi in silenzio con gli occhi chiusi per 5 minuti non ha avuto un grande impatto sui parametri EPI. Tuttavia, quando la mudrā è stata praticata per un periodo più lungo, è diventato evidente un cambiamento significativo nei parametri EPI .
Di conseguenza, uno yoga mudrā deve essere praticato per più di 20 minuti per poter osservare un cambiamento rilevabile nei parametri EPI. Il cambiamento in questa variabile è un’indicazione della possibile manipolazione dell’energia all’interno del corpo umano.
Dopo questa ricerca è dimostrato che le mudrā non sono semplicemente un dettaglio della posizione che assumiamo facendo yoga, ma sono esse stesse una tecnica yogica sofisticata, complessa e potente. Non è necessario un’intensa pratica di yoga o di meditazione per farne esperienza. Però come confermato dalla ricerca, l’efficienza di qualsiasi yoga mudrā aumenta più a lungo la si tiene. Ecco perché si consiglia di praticare per alcuni minuti, estendendo il tempo fino a 15-20 minuti. Io consiglio sempre di fare esperienza personale di ciò che ci dicono i testi, quindi si dovrebbe scegliere una mudrā e ripetarla ogni giorno per un periodo compreso tra una settimana e trenta giorni così da verificare e sperimentarne i risultati personalmente.
Concludendo possiamo dire che sebbene le mudrā siano una parte spesso trascurata della pratica yoga, ciò non le rende meno efficaci o importanti. Infatti spesso, non vengono proposte e praticate fino a quando le altre tecniche, cioè asana, pranayama e bandha, non sono padroneggiate e ciò richiede, solitamente, qualche anno di pratica yoga costante ed approfondita.
Grazia Ugazzi
FONTI https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5934951/
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